Tommaso Accetta al Simposio Buone Pratiche del 6/12/2021 con Paolo Crisafi

Parlare del linguaggio non è mai una cosa semplice, soprattutto quando parole specialistiche giungono in esso senza che un significato scientificamente condiviso possa supportare una concezione collettiva della cosa a cui ci si riferisce.

E’ proprio questo il caso dei nuovi termini introdotti dalle nuove scienze informatiche i quali, anche se presenti da qualche decennio, fanno ancora fatica a trovare il loro posto nel mondo delle definizioni, provocando confusione e fraintendimenti, non solo fra gli addetti ai lavori ma, in maniera più consistente e pericolosa, fra coloro che di riflesso si trovano ad utilizzare queste parole nella vita quotidiana.

Sentiamo spesso parlare di “intelligenza artificiale” (AI), delle sue possibili implicazioni a livello pratico, di come  (secondo il report “A Future That Works: Automation, Employment and Productivity”, realizzato da McKinsey Global Institute – MGI) la metà delle attività lavorative di oggi potrebbe essere automatizzata entro il 2055 grazie a questa tecnologia, senza però  aver ben chiaro, in maniera preventiva, a cosa ci riferiamo quando parliamo di “intelligenza artificiale”, del suo significato che “il luogo comune” deduce per analogia da quella facoltà che noi generalmente riferiamo agli esseri umani. Le macchine però non posseggono un corpo, ed esse in effetti si limitano all’elaborazione di flussi di informazione astratti. E quand’anche si dotino di sensori percettivi, non fanno altro che digitalizzare certi elementi della realtà in codice binario, escludendo per incapacità di elaborazione quantitativa e qualitativa l’enorme vastità di stimoli che l’essere umano riesce a cogliere con le sue facoltà.

A tal riguardo è sempre maggiore la nostra responsabilità di approfondire questi argomenti in maniera trasversale e di rimettere in discussione non solo queste nozioni a partire dalla radice, ma anche il modo in cui le adoperiamo, come nei media o nei tribunali. Infatti, nonostante le difficoltà è necessario convenire a concezione condivise, tenendo sempre conto di questa ambiguità di fondo, al fine di inquadrare questi fenomeni all’interno di un orizzonte comune, soprattutto quando si parla delle loro possibili esternalità, sociali ed economiche, relative tanto alla nostra generazione quanto a quelle future.

 

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