Gianni Verga (Ingegnere) al Think Tank Remind “House of Change” del 7 Novembre 2022

Intervento di Gianni Verga (Ingegnere) al think tank “House of Change – Remind / Nuove concezioni di Immobiliare allargato e di Cultura dell’Abitare per l’Italia” promosso dal Prof. Paolo Crisafi, Presidente nazionale Remind, dal Dott. Marco De Vincenzi e dall’Arch. Maurizio Iennaco.

“Grazie per questa occasione. Ne abbiamo già avute altre e in questo caso vorrei sottolineare alcune cose.
Ho già lavorato, e tra l’altro c’è qui Fabio Bandierali che ha collaborato con me, al progetto di rigenerazione dei quartieri di edilizia popolare. In particolare abbiamo approfondito uno di questi quartieri. Primo concetto di riferimento sul quale abbiamo lavorato: rigenerare quartieri di edilizia popolare vuol dire partire dall’aver coscienza e consapevolezza della condizione nella quale abitano le persone in questi quartieri. Se non tiene conto del disastro di vita al quale sono sottoposti non si riesce a offrire l’alternativa. Tutte le terapie usate fino ad oggi di manutenzione straordinaria, recupero degli edifici, etc.. sono fallite, miseramente. Io mi sono ritrovato in mano il libro bianco degli ACP di Milano, Marco Osnato lo conosce benissimo, di esattamente trenta anni fa. Le cose che allora sono state censite e le terapie che allora sono state individuate hanno manifestato il loro totale fallimento. Allora la proposta prevede che, in primo luogo, la gente – quella per bene naturalmente, non gli occupanti abusivi e non i delinquenti – che abitano vengano tutti messi nelle condizioni di restare nel quartiere. Seconda condizione: che si demoliscano degli edifici che sono stato tra l’altro, nel caso che abbiamo esaminato, costruiti un po’ prima, un po’ durante, un po’ dopo la guerra. Vi lascio immaginare che tipi di materiali si sono usati. Pochissimo ferro, scarso cemento, ma sabbia e ghiaia in abbondanza. Demolire tutto con un processo di sana densificazione. Badate bene, questi quartieri, come San Siro, non sono densi, ma sono disastrati. Se noi confrontiamo, come abbiamo fatto, la densità che c’è, non dico nel centro storico di Milano, ma nelle zone bene di Milano, come la città studi e zone limitrofe, hanno delle volumetrie molto più elevato. C’è un particolare in più: lì gli enti pubblici, il pubblico, lì ha già speso molto perché son state fatte le metropolitane e siccome le metropolitane costano dai 150 ai 200 milioni a chilometro è chiaro che i quartieri interi che vengono attraversati o lambiti dalle metropolitane hanno ricevuto questi investimenti. Allora mettere a frutto questi investimenti e attivare procedure di partenariato tra pubblico e privato in modo tale che non ci sia soltanto il ruolo del pubblico e il privato possa entrare in questo meccanismo. La condizione fondamentale del nostro progetto, ambizioso, è che si costruisca un nuovo quartiere, un nuovo borgo di Milano – poi troveremo anche il nome, ma ora non ci interessa, vogliamo prima arrivare a farlo. Un nuovo borgo di Milano, come ce ne sono tanti nella realtà milanese. Che questo borgo abbia dentro sia i meno abbienti, i poveri che già abitano lì, sia i ricchi, il più possibile. Di fianco al quartiere di San Siro ci sono le ville di San Siro, le realtà più ricche della nostra città, addirittura i consolati, o le residenze dei consoli, dei corpi diplomatici. Quindi il mix di condizioni sociali, ma anche un mix di funzioni. Stasera si è parlato di commercio, di turismo, quindi un quartiere per essere un vero quartiere deve avere tutte queste funzioni. Il commercio nelle sue varie dimensioni, le attività lavorative che gli sono compatibili. Parlo del terziario, naturalmente, ma parlo anche di alcune attività di tipo artigianale che ci possono stare. Una caratteristica, però fondamentale, che tutti i piani terreni di tutti gli edifici residenze di questo quartiere siano destinati a servizi. Questo perché i servono le scuole, servono i poliambulatori, le attrezzature di comunità, di solidarietà della comunità, ma la gamma dei servizi è molto più ampia. I negozi-quartiere sono servizi. Le realtà culturali che riguardino le arti figurative, la musica, il teatro, il cinema, la fotografia; sono tutte realtà importanti. Perché ai piani terreni degli edifici? per due ragioni: perché sono i luoghi in cui ci si incontra. Io non posso mettere queste attività all’ottavo piano o al decimo. Altro che città ai quindici minuti, ai dieci muniti. Dobbiamo fare in modo che la gente possa incontrarsi, divertirsi, scambiare, comprare, vendere, possa fare di tutto.

Mi avvio alla conclusione. C’è una condizione però, e qui ho citato Fabio Bandirali perché ci ha sempre tirato la giacchetta da questo punto di vista. Perché un’operazione di questo genere, colossale, solo per un quartiere – pensiamo al fatto di voler esportare questo modello anche in altre città, grandi città, medie città e altre realtà – è necessario tenere in considerazione i tempi. Non possiamo più permettere che si butti via la risorsa tempo. La risorsa tempo è una risorsa fondamentale. Per fare questo, io vi dico subito due cose, ma le dico anche con l’attenzione politica ai tempi. Abbiamo dei parlamentari che sono appena stati aletti. Hanno appena cominciato la loro attività. Chi riconfermato, chi nuovo, ma tutti con grande entusiasmo. Benissimo: il parlamento, il governo, lo stato centrale. Tra poco avremmo anche le elezioni in regione Lombardia, quindi avremmo un’opportunità fantastica che tutto il sistema legislativo del Paese – perché anche le regioni fanno le leggi – sia su una lunghezza d’onda armonica. Bisogna fare in modo che nell’arco dei mesi si decida e questo si può fare prendendo a prestito dalla legislazione che c’è, che è sovrabbondante, solo i pezzi che ci servono. Pezzo fondamentale: avere un luogo di discussione di tutti su un progetto. Come adesso qui. Un luogo dove tutti vengano a dire la loro, sia istituzioni, sia comitati. Un tempo prefissato, tre mesi, quattro mesi, sei mesi, ma non anni. E alla fine del procedimento si deve dire si o no. Anche no, si deve dire ma bisogna dirlo. Perché se non si dicono i si e non si dicono i no si continua il vezzo che stiamo vivendo adesso. Sei mesi per decidere, poi però c’è un altro passaggio – lo dico a quelli che se ne intendono un po’ di più di procedure amministrative. Il privato che affrontasse un’avventura di questo genere cosa fa? Fa tutto il suo budget, fa tutti i suoi ragionamenti e poi nomina un capo-progetto. Un privato lo fa e l’amministrazione pubblica deve fare altrettanto. Questo perché non è più concepibile che il promotore di programmi come questi debba fare ogni giorno, ogni settimana, ogni mese, il giro delle cento chiese per andare a chiedere al comune, all’Aler, all’Enel, alle autostrade, ai telefoni di stato, tutto il casino nel quale siamo immersi. Ci vuole un interlocutore. Non è questione questa di mettere un prefetto. Deve solo portare avanti, con le giuste competenze, i giusti poteri d’esercitare, l’attuazione del progetto. Finito qui.
Il passato è una pagina che va riletta, ma dobbiamo guardare avanti. A Milano siamo abituati così”.

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