Michele De Lucchi al Webinar Remind “MILANO, Le Prospettive di una Città Metropolitana Europea nello Stato di emergenza”

Al Webinar Remind “MILANO, Le Prospettive di una Città Metropolitana Europea nello Stato di emergenza” è intervenuto  Michele De Lucchi (Designer & Architetto, Consigliere Comitato Tecnico-Scientifico Remind, Consigliere dell’Osservatorio per la Cura della Casa Comune) che ha così dichiarato:

“L’evoluzione della cultura dell’abitare è uno dei grandi temi di oggi, a cui si collega la riflessione sul futuro delle città, come la nostra Milano che tanto amiamo e che spesso è stata un esempio di evoluzione e cambiamento. Vivace protagonista della vita intellettuale, ma anche pratica e sociale.
Personalmente, collego sempre l’idea di città all’idea della convivenza, civile e individuale. Io, che progetto architetture, e che faccio questo “benedetto” mestiere di costruire muri.
Costruire muri non è di per sé una gran bella cosa. Anzi, c’è chi li costruisce per allontanare il più possibile i vicini e non avere niente a che fare con loro. Sono cresciuto, culturalmente e professionalmente, con questa idea che i muri servono per dividere il dentro dal fuori, la cucina dal soggiorno, la camera da letto dal bagno. Insomma, per quarant’anni di studio e lavoro, mi sono inconsciamente lasciato guidare dall’idea che un’architettura serve a separare gli uni dagli altri, il pubblico dal privato, la città della campagna. Con la tendenza a definire dei confini che dividono le cose ma anche i concetti, le persone, i popoli.
Certamente, i muri servono per tenerci caldi d’inverno e anche un po’ freschi d’estate; però è anche vero che il muro non deve dividere e noi architetti dovremmo ragionare molto di più sui muri che uniscono. Un muro non dovrebbe mai cancellare e nascondere, ma dovrebbe piuttosto mettere in contatto l’interno con l’esterno. E quando si disegna un muro, si deve far percepire il senso di partecipazione a una comunità, si devono mettere insieme persone con ruoli e idee diversi e unire spazi con funzioni differenti.
Sono attratto da molte teorie affascinanti, che arrivano dal mondo dell’antropologia e di chi studia la natura dell’uomo. In particolare, un antropologo e storico israeliano, Yuval Noah Harari, ha scritto libri di grandissimo successo che consiglio a tutti di leggere: Sapiens. Da animali a dèi. Breve storia dell’umanità (2016); Homo Deus. Breve storia del futuro  (2017); 21 lezioni per il XXI secolo  (2018). Harari ci fa notare che non esiste nessun altro animale che riesce a convivere così bene con gli altri come noi esseri umani. E ci invita a pensare a come si comportano 100.000 persone dentro uno stadio. Sicuramente c’è un qualche tafferuglio perché qualcuno si esalta e va fuori di testa. Però, nel complesso 100.000 persone, con la stessa idea in testa – seguire la partita di calcio – riescono in qualche maniera a convivere dentro allo stadio, che in fondo è un piccolo spazio. Ma cosa accadrebbe se ci chiudessimo 100.000 scimpanzé? Si scatenerebbe il caos.
Mi sembra che l’immagine sia molto esplicativa. Noi esseri umani siamo la specie animale che meglio ha affinato l’idea di convivenza e di connessione con gli altri. Meglio certo, ma non così bene come avremmo potuto fare. Tanto è vero che c’è ancora rumore di guerra, non tanto lontano da noi. Eppure dovremmo averlo capito: abolire i conflitti è un’urgente necessità . E non c’è nessuna possibilità che una persona sola sopravviva in un pianeta desolato e distrutto.
Così, voglio concludere pensando che nelle nostre città, l’istinto allo stare insieme, al condividere, alla costruzione delle relazioni sopravanzi di gran lunga le pulsioni di isolamento e separazione. E voglio credere che la condivisione costituirà, per molto tempo a venire, una consistente spinta al miglioramento della condizione umana”.

 

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