Marco De Vincenzi (HR, RE, Shopping Malls Industry Manager) al Think Tank Remind “House of Change” del 7 Novembre 2022

Intervento del Dott. Marco De Vincenzi (HR, RE, Shopping Malls Industry Manager) al think tank “House of Change – Remind / Nuove concezioni di Immobiliare allargato e di Cultura dell’Abitare per l’Italia” promosso dal Prof. Paolo Crisafi, Presidente nazionale Remind, dal Dott. Marco De Vincenzi e dall’Arch. Maurizio Iennaco.

“Provengo dal mondo dei centri commerciali, quelli che venivano chiamati quando ho iniziato, giacché si riferivano ad un modello che arrivava da oltre oceano, shopping mall.

E’ da questo mondo che voglio partire perché rappresenta le mie origini professionali ma non è qui che voglio rimanere nel mio breve intervento. Intendo basarmi sulle mie profonde conoscenze di quel mondo per tracciare quelle che ritengo le principali tendenze in atto e quelle che saranno le possibili evoluzioni future dell’immobiliare in genere, enfatizzando quello che a mio avviso deve essere lo scopo della politica: predisporre gli strumenti che permettano di favorire e di accompagnare nel tempo i settori trainanti dell’economia e dello sviluppo sociale di una comunità come l’immobiliare.

Parlerò quindi di immobiliare e lo farò dalla città che rappresenta il centro dell’economia italiana anche in questo settore. Milano con i suoi progetti: MIND, Milano Sesto, Milan4you, Piazzale Loreto sono solo alcuni nomi, e non tutti, di iniziative che vedono da un lato l’apertura (mi riferisco a Loreto in particolare) e la riconversione di un proprietario e gestore di centri commerciali in un uno sviluppatore di riconversione urbana, dall’altro progetti che sempre più vanno nella direzione della ibridazione: commerciale, sociale, abitativo e uffici.

Questi e tanti altri soggetti che ora per questione di tempo non cito, hanno capito una cosa fondamentale: il real estate, ma preferisco chiamarlo con il vecchio nome di immobiliare, non può avere alcun valore se non si basa sulle esigenze e necessità, sempre nuove, delle persone che li vivono.

Avremmo altrimenti solo spazi più o meno vuoti, costruiti, da manutenere, ma non abitati e vissuti pienamente e con piacere. Durante la pandemia ha dominato l’home working (più che smart working). Il timore che aleggiava era che gli uffici si sarebbero trasformati in deserti vuoti ed inutili, visto che tutti noi ci trovavamo a dover lavorare da casa.

Ma cosa ci ha insegnato la pandemia? Quel periodo è stato, oltre al disastro sanitario e sociale, la possibilità di cogliere nuove opportunità di possibili sviluppi dirompenti nella concezione dell’immobiliare, evitando quello che spesso accade in troppi casi: i sistemi tendono a riportarsi all’equilibrio precedente, un po’ come quando si getta un sasso in uno stagno. Se osserviamo l’evolversi della situazione:

  • Prima tutti in ufficio: l’Headquarter nel modello classico con postazioni fisse e definite, sotto-utilizzare e con persone poco motivate e coinvolte; solo pochi avevano cominciato a progettare uffici per il lavoro flessibile, dove il dipendente “cedeva” la scrivania fissa per “ricevere in cambio” tutte le potenzialità di un luogo in cui lavorare al meglio con i colleghi ed aumentare la motivazione ed il coinvolgimento.
  • Poi tutti (obbligatoriamente) a casa: spaesati, tutelati dal contagio, ma distanti dai colleghi e dal modo di lavorare tradizionale e con una necessità di contatto e di socialità.

Oggi quale è una possibilità su cui indirizzare un possibile sviluppo? Ripensare le Sedi centrali che potranno essere più piccole (50%), perché non serviranno tutto il tempo lavorativo. Più piccole ma anche dotate di nuovi servizi utili per la vita dei dipendenti che sono persone: 1) spazi di cura (per esempio per curare direttamente in sede quelle patologie tipiche dei lavori alla scrivania, come mal di schiena e problematiche muscolo- scheletriche e posturali, o cure dentistiche….) che incida sul welfare aziendali; 2) spazi di socializzazione e team building.

Adeguare le abitazioni dei dipendenti per un 20% del tempo di lavoro, che dovranno essere pensate anche per consentire un confortevole momento di lavoro, sia tecnologicamente che nelle disposizione degli interni e delle localizzazioni geografiche;

E il 30% restante di lavoro? Bisogna essere creativi anche nell’immobiliare. Sfruttare altri  spazi nella città.  Con una potenzialità incredibile di sfruttare spazi non utilizzati all’interno delle città (pensate ai beni della Pubblica amministrazione che potrebbero rinascere) e creare punti incontro tra le persone.  Sapete quale è il neologismo che ha creato una società, che opera da oltre 20 anni nell’immobiliare (eFM)? HUBQUARTER

Le città sarebbero piene di questi HUB (vicini a casa dei dipendenti con altri colleghi, quindi socialmente di valore, ma senza costringerli a raggiungere l’ufficio principale magari a chilometri di distanza). E non mi meraviglierei di trovare a breve uno di questi HUB anche all’interno di un centro commerciale, dopo che vi abbiamo portato gli HUB vaccinali ed altri tipi di servizio (poste e sanità light).

Voi capite quindi che il mondo dell’ “abitare” sta radicalmente cambiando: oserei dire che  abitare è un termine che potrebbe risultare superato in quanto denota quasi più una “passività”, come se ci fosse un obbligo della nostra presenza in uno specifico spazio per poter fare qualcosa. Sarebbe più indicato usare l’espressione “luoghi da vivere”, perché vivere significa che parto dalle esigenze delle persone.Fateci caso: molti soggetti lo usano come caratteristica della propria attività (ad es. IGD che è una SIIQ lo specifica nel proprio logo). Che piaccia o meno, non saremo più legati in una maniera cosi al luogo come prima, ma dovremo costruire il legame perché non lo potremmo controllare con le regole. Eravamo abituati a vivere in stereotipi che recitavano un mantra ben preciso:“ogni spazio ha la sua tipologia precisa (ed aggiungo “unica”) di utilizzo”.

Se fosse stata diversa avrebbe creato incomprensione prima e disagio poi:

  • l’apprendimento è nelle classi della scuola.
  • Il lavoro è negli uffici, nelle fabbriche, magari dopo aver percorso tempo inutile in macchina in una ottica anti ESG
  • la cura delle malattie solo è negli ospedali
  • lo shopping è nei negozi.
  • la vacanza è nelle strutture di hospitality.
  • la vita familiare è a casa

Oggi non è più cosi, è tutto più liquido e tutta la filiera ne deve tenere conto, da chi concepisce gli spazi, a chi li progetta, realizza e gestisce. Il valore da costruire sugli spazi perché questi diventino di interesse per chi li vive, sono le relazioni e la rispondenza alle esigenze e necessità.

Nell’abitativo, ad esempio, con servizi non più solo alle strutture (facility), ma alle persone con le loro peculiarità, come gli anziani per esempio, che saranno sempre pia numerosi e su cui si concentrerà la maggior capacità di spesa (si parla infatti di silver economy). La soluzione potrà consistere solo nelle “case di riposo” con la sottostante visione di “rottamazione” di tutta una classe generazionale? Siamo convinti che sia una soluzione socialmente giusta?  Io non credo. Credo che bisogna lavorare per ricostruire un nuovo “patto intergenerazionale” come suggerisce Monsignor Paglia nel suo ultimo libro. Il futuro non potrà essere (purtroppo) solo dei giovani senza l’esperienza di chi ha  vissuto una vita. L’immobiliare dovrà favorire questo processo.  Si comincia a parlare di “Longevy Village” e qualcuno ci sta già lavorando. Nuovi concetti di villaggio simbolico (perché potenzialmente ricreative anche in contesti urbani tradizionali), dove si coniuga vita sociale, servizi sanitari, assistenze sanitarie specializzate, spazi commerciali e vita intergenerazionale. Interconnessa costantemente con l’ambiente urbano circostante e non isolato dal contesto tradizionale. Con tecnologie diffuse che facilitino la vita autonoma anche dei fragili, dove ognuno può continuare a vivere nella propria abitazione “sensorizzata” e vivibile tranquillamente anche dai familiari.

E che dire del Metaverso. La sfida è creare un’ibridazione fluida tra reale e virtuale, e tanti filoni nel reale da sviluppare e concretizzare devono già pensare alle implicazione di queste ibridazioni. E la interazione intergenerazionale potrà avvenire sia nel fisico che nel virtuale. Un anziano potrà vedere una mostra, incontrarsi con amici distanti perché avremo costruito spazi dove questa possibilità sarà consentita. Di esempi sulle varie dimensioni ce ne sono moltissimi. A me farebbe piacere passare la serata a raccontarveli, ma non è questo il momento. Quello che volevo era darvi qualche spunto di riflessione e spiegarvi come l’immobiliare si può sviluppare.

Voglio chiudere questo mio intervento con una immagine, una visione che torna sui temi commerciali che a me sono tanto cari. Il futuro non sarà tutto fisico, né sarà tutto virtuale. Sarà liquido. E la tecnologia sarà pervasiva ed andrà cavalcata e utilizzata correttamente. L’Italia è il paese che nel trecento ha visto fiorire le botteghe fiorentine. Come saranno secondo voi i negozi del futuro? Perché saranno dei “luoghi da vivere” che porteranno le persone a frequentarli ed a vivere un’esperienza coinvolgente? Delle botteghe fiorentine conserveranno la capacità di realizzare oggetti personalizzati costruiti al momento grazie alla tecnologia ed alla realtà virtuale: avrai una conferma della tua esigenza personale con un rendering immediato e la stampante 3D realizzerà in tempo record il tuo desiderio.E mentre aspetteremo la realizzazione in quei pochi minuti, sorseggeremo un buon caffè italiano perché anche quella attesa deve essere unica e ci consentirà di tornare ancora con piacere”.

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